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Libri di aprile

Aprile è stato un mese in crescendo, per la lettura. Ho avuto molta “sete” di libri, arrivavo alla sera con la voglia di mettermi a letto e lasciarmi abbracciare dalle mie paginine. Le disgrazie del 2022 non sono terminate, ne abbiamo una in corso proprio adesso (il mio adorato nonno, 92 anni affrontati in forma splendida fino a 2 mesi fa, è pieno di mesoteliomi di merda, amianto di merda) e quindi i libri continuano ad essere il mio rifugio. Sto riuscendo a correre, e questo aiuta, e insomma, ho tutta una serie di strategie anticollasso che sto portando avanti certosinamente, ma al momento attuale sono piuttosto spaventata, ogni telefonata mi destabilizza. Ma parliamo dei libri di carta del mese!

Sulla riva del mare, Abdulrazak Gurnah

Mi sento molto inadeguata a questionare su un premio Nobel, ma queste sono quattro stelline (su cinque, sistema di votazione di Goodreads) senza entusiasmi. L’ho letto con piacere, perché racconta un mondo e delle vite che non conosco, un modo di guardare la realtà che mi è lontano e, come sempre in questi casi, rimango estremamente affascinata da questo cambio di prospettiva. Però non ho potuto fare a meno di avere la sensazione che solo questa “lontananza” tenesse viva la mia attenzione. Coi grandi scrittori mi capita di pensare che avrei voglia di leggerli qualunque fosse l’argomento di cui mi parlano, con Gurnah ho avuto la sensazione opposta, andavo avanti a leggere esclusivamente perché racconta una cosa che non conosco, l’attenzione si sarebbe inesorabilmente allentata qualora mi avesse parlato di qualcosa che già vagamente conoscevo.

Comunque felice di averlo letto.

Oliva Denaro, Viola Ardone

Durante lo scorso mese ho ascoltato La scrittura non si insegna, di Vanni Santoni, non perché voglia scrivere, ma perché apprezzo molto Vanni Santoni come “divulgatore letterario”, ed ero curiosa. L’ho trovato fantastico, perché nella prima parte dà tutta una serie di liste di lettura per aspiranti scrittori che ho trovato meravigliose. A un certo punto poi fa un notevole elenco di espressioni che sono diventate luoghi comuni e che sconsiglia di utilizzare nella scrittura. Io ci ho riflettuto a lungo, molte sono espressioni che certo usiamo nella vita di tutti i giorni, ma ho capito che, anche per me, leggere un libro che mi sembra riverberare quelle espressioni è, in qualche modo, deludente. Ecco, io, da quel momento, leggo i libri col pensiero che cade sempre lì. O meglio, ho l’impressione che alcuni dei libri che mi lasciavano un sapore poco convincente in bocca senza che riuscissi a intercettarne la ragione fossero per me, almeno in parte, deludenti, perché mi sembrava di leggere qualcosa di già sentito. Oliva Denaro è così, per me. È un brutto libro? No, ci mancherebbe, ti fa riflettere su come si sentiva una ragazza sveglia nella Sicilia degli anni ’50 (spoiler, una merda), argomento interessante, ma tutto quel già risentito e riletto mi ha indotto ad accelerare la lettura per togliermela di mezzo. Con le mani con le mani con le mani CIAO CIAO.

Il mare non bagna Napoli, Anna Maria Ortese

I primi due racconti sono meraviglia pura. Ecco, dopo la scontata Oliva Denaro mi sono ritrovata fra le mani “Un paio di occhiali”, un racconto di una potenza devastante. Il mondo disperato di un “sobborgo” (potrò usare il termine sobborgo per la Napoli del secondo dopoguerra? Mah) viene affrontato attraverso gli occhi di una ragazzina povera, bruttina e pure “mezza ciecata” alla quale la zia regala finalmente un paio di occhiali (“ottomila lire vive vive”). Nel secondo, “Interno familiare”, i rapporti sotterranei di una famiglia vengono indagati con uno sguardo che si riflette sghembo sulla figura della sorella maggiore, Annalisa Finizo, un personaggio così sbilenco, nella sua dignitosa infelicità, che riesce a incarnare tutto un intero spettro di disillusioni, diventa viva e si fa un po’ metafora di ognuna di noi. 

Purtroppo poi ci sono tre non racconti, due cronache dai quartieri poveri di Napoli, dove una scrittura stupefacente accompagna però lo sguardo che non esiterei a definire schifato della Ortese sugli ultimi, e io, di fronte a tanta mancanza di empatia, mi sono sturbata. Infine un resoconto sui personaggi che popolano la vita culturale di Napoli, solo interessantino. In generale una disparità talmente elevata tra la prima e la seconda parte che mi sono arrabbiata moltissimo, volevo solo i racconti, io.

Mi spingerei a dire che “Un paio di occhiali” e “interno familiare” sono, probabilmente, i migliori racconti italiani che abbia mai letto (persino migliori de Il mantello di Buzzati. Non lo so, forse anche sì, ma quel Mantello letto a 14 anni per me resta una fulminazione come difficilmente ne conoscerò altre). 

I racconti di Pietroburgo, Gogol

A questo punto, siccome non mi erano bastati i racconti bellissimi, ho deciso di colmare una lacuna, e leggere I racconti di Pietroburgo. Avevo già letto il Cappotto, da solo, e pensavo che fosse una meraviglia, uno di quei racconti che stanno nell’olimpo dei racconti (avete presente, no, laddove vivono Francis Macomber e la sua breve vita felice, Rose di Dubus, Il mantello e quello che nasconde, ora ci stanno pure le “otto mila lire vive vive” di cui sopra). Devo dire che secondo me è in assoluto il migliore della raccolta, per il resto Gogol e la sua ironia cattivissima sono davvero devastanti, io avevo l’impulso di nascondermi, leggendolo, come l’amica svanita che non capisce le battute, ma chi le fa non è in buona fede, e alla fine il centro della presa in giro diventa la suddetta svanita.

Tra l’altro a me ha fatto venire in mente un altro scrittore cattivo, Philip Roth. Secondo me Roth, quando ha deciso che avrebbe trattato a pesci in faccia i suoi personaggi, si è ispirato a Gogol. A me hanno fatto sentire nel solito modo. Siete bravissimi, ma mi muovo con circospezione, mentre mi leggo, così non mi vedete. Sia mai che mi prendete a sberle come i vostri personaggi.

Io sono l’ultimo: Lettere di partigiani italiani

Libro della Liberazione

“Poi dicono che i morti sono tutti uguali. 

Chi ha mai detto il contrario? 

Ma da vivi: era da vivi che si era diversi.”

Gita al faro, Virginia Woolf

Sua maestà Virginia, io mi inchino al suo splendore. Avevo un’edizione pessima, Edizioni Crescere, piena di refusi, ma lo splendore, lo splendore riusciva comunque a venire fuori. Il libro è diviso in tre parti, una prima, tutta indagine minuziosa sui pensieri di alcuni personaggi, tra cui svetta suprema la signora Ramsey. Però indagine non è la parola giusta. È la cronaca dei pensieri, ed è una cronaca che riesce a cogliere moti così profondi che il lettore non può fare a meno di domandarsi se la Woolf ne sappia più sulle persone delle persone stesse. È come se la Woolf, con le sue riflessioni, avesse raggiunto un livello di profondità così vertiginoso da aver colto l’universalità. 

A un certo punto racconta quella altalena emotiva che io sento di conoscere molto bene che ti porta nel giro di un istante dal fastidio intollerabile all’amore più estremo per una persona amata, ed io mi sono sentita riconosciuta, e questo mi ha regalato un momento di felicità inaudita, nel mio lettino, presumibilmente tra le 10.30 e le 11 di sera, mentre tutti dormivano. Che gioia.

Poi c’è una seconda parte, breve, che va ad annodare i fili con la terza, che torna, come sensibilità, alla meraviglia di quella prima parte. 

Per me è stato una rivelazione, Orlando mi era piaciuto meno, credevo di amare alla follia solo la Virginia Woolf saggista (Mrs Dalloway l’ho letto una vita fa, credo in terza o quarta superiore, lo devo rileggere), invece questo romanzo è un gioiello di perfezione ed emozione. Vorrei tanto leggerlo in inglese, ma ahimé, ancora non credo di essere in grado. 

(Però voglio leggere “Diario di una scrittrice”, devo assolutamente sapere tutto di queste pagine)

8 pensieri riguardo “Libri di aprile

  1. Bellissime letture, Cristina, congratulazioni! Ho letto anch’io Sulla riva del mare e non ne sono stata entusiasta, tanto che arrivata a un certo punto l’ho abbandonato. Tematiche importanti, ma non sono riuscita ad appassionarmi. Oliva Denaro non l’ho letto, ho letto Il treno dei bambini e mi ritrovo nel tuo sguardo un po’ critico. Il mare non bagna Napoli è bellissimo, Gita al faro un classico imperdibile. Leggi La signora Dalloway…

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  2. Prima cosa: abbraccione a te a al tuo nonno.
    Potrei scrivere un commento lunghissimo sulle figure retoriche abusate = da non usare, perché semplicemente non sono originali, non nascono dalla testa dell’autore che, trovandosele già confezionate e di sicuro funzionanti, attinge. E non va bene, capita, ma non va bene. Non deve capitare con i grossi editori che hanno in squadra gente preposta alla correzione/abbattimento dei vari “bella vista” e “bella mostra” su tutti. Ma sono infide, scappano, quindi vanno tolte prima di andare con testo definitivo. Mi ci accaloro perché ho appena letto un romanzo vincitore di un popolare concorso, scritto da una popolarissima editor che ne è pieno. Una roba da scaraventare il libro su un altra galassia. Mamma mia che nervo scoperto sto tema, nervo scoperto è una figura retorica di cui sopra, se stessi scrivendo un romanzo ora dovrei trovare un sostituto, dovrei assolutamente fare questo sforzo.

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    1. Hai colto esattamente il punto (e anche questa è una espressione abusata), ovviamente ci sono diversi livelli poi, la Ardone non è assolutamente terribile, è una lettura piacevole, però, con il passare degli anni e dei libri, ti capita di notare cose nuove e magari cominciano a stonare alcuni dettagli. Poi dipende anche dai periodi, io in questo momento sono in un mood per cui tendo a leggere solo roba che vola altissima (mi sono data alla Recherche di Proust, per capirsi), proprio perché in mezzo alla confusione della vita sento il bisogno almeno di una letteratura di elevatissima qualità!

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