Lo avevo anticipato, qui. L’avevo individuata, la Traviata, al Maggio Musicale Fiorentino, ho tentennato un paio di settimane e poi non ho resistito, ho preso i biglietti, rigorosamente in piccionaia e sono andata. Ho tante, tantissime cose da dire.
1) C’erano molte date. Fiera dell’ignoranza, puntata 1, non ho controllato se differivano in qualcosa. Ho solo visto che quelle di ottobre erano quasi tutte esaurite e quelle di settembre no. Sono ignorante, ve l’ho detto, e nel mio cuore sempliciotto ho pensato “a ottobre è più freschetto, c’è più voglia di teatro”. Sciocca illusa. A ottobre c’è Placido Domingo. Nella mia ignoranza avrei potuto sentire una voce mitica. Niente, io sono andata a settembre, c’era Leo Nucci (che mi aveva nominato anche Sandra), che mi è comunque sembrato eccezionale. Però un pochino ho rosicato.
2) Fiera dell’ignoranza, puntata 2. Dopo aver individuato questa Traviata in cartellone mi sono messa a studiare. Studia studia avrei potuto avere la lucidità di guardare a modo il sito del teatro. Invece. 3 o 4 giorni prima dello spettacolo, mentre stavo correndo in pausa pranzo, passo davanti al cartellone della Traviata in giro per Firenze. Dopo un primo moto di orgoglio e felicità per il venerdì sera che mi aspetta, mi avvedo che la mia Violetta è, come dire, un po’ discinta, perfino per una cortigiana. O perbacco. È trasposta nel ’68. 1968. Attimo di scoraggiamento. Ma come? Niente crinoline? Niente gonne a ruota? Mondo puzzola.
Basta con gli elenchi.
Premetto ancora, sono una capra ignorante, tutti i miei pensieri sono frutto di una mente incolta, perdonatemi se scriverò qualche castroneria.
Allora, due parole sul Teatro, molto bello, molto moderno, molto verticale, non vedevo la buca dell’orchestra e questo mi dispiaceva un po’. In piccionaia conviene evitare le prime due file perché dà un po’ noia la ringhiera, io ero in seconda, e tutto sommato la terza sarebbe stata meglio.
Togliamoci subito il dente. La trasposizione nel ’68. Francamente l’ho trovata priva di senso, ma non fastidiosa quanto temevo. Mi spiego meglio, se metti a Violetta e company vestiti moderni e li fai agire in una stanza moderna invece che in un salone parigino ottocentesco, ci sarà un po’ di effetto straniante per la lingua desueta, ma per il resto vedrai la medesima opera, con dei vestiti meno belli. Inoltre mi è risultata incomprensibile la scelta di ambientare il secondo atto in una specie di studio fotografico, ma anche in questo caso il fastidio si è estinto velocemente perché poi il centro della scena sono Violetta e Germont padre e io ero incantata e concentrata.
Ma parliamo dell’opera in sé. Quanto è bella? Tutta, un crescendo, un’emozione infinita. Devo dire che non so se i cantanti erano parecchio più bravi di quelli che ho visto a Torre del Lago, o se nel chiuso il canto suoni più potente e vivido, fatto sta che le voci mi sono sembrate di un altro livello, proprio. Ho la sensazione che la verità stia nel mezzo, ma potrei aver preso una cantonata. Violetta, rispetto alle voci femminili de La Bohème, mi ha regalato un canto molto più “gorgheggiato”, ricco di svolazzi e variazioni, (anche in questo caso, non so dire se sia lo stile della cantante o l’opera che si presta), rispetto a Puccini con Verdi sono mancati totalmente gli intermezzi ironici, è tutto molto carico. L’aria “Sì, mi chiamano Mimì” era quella che più mi aveva colpito la scorsa volta, mentre in questo caso fatico ad individuare il clou. Al momento di “Amami Alfredo”, devo essere onesta, avevo dei brividi di freddo così intensi che forse non li avevo sperimentati la volta scorsa, però anche l’ultimo atto è molto intenso. Unico appunto che posso fare, pare brutto dare un consiglio a Verdi, ma amen, è che secondo me è talmente bella “Addio del passato” che la scena successiva, quando arriva anche Alfredo, perde un po’ di pathos, ma forse è un mio gusto personale!
Il tenore protagonista (Francesco Meli, pare sia molto quotato tra i “ggggiovani tenori” -canta ruoli da protagonista da tipo 20 anni, eh-) era decisamente a suo agio nella parte, ho avuto tutto il tempo l’impressione che andasse proprio a memoria, tutto liscio, quasi troppo. Leo Nucci mi è parso avere un timbro vocale particolare e stupefacente, oltre a un carisma eccezionale. Anche la voce di Nadine Sierra mi è sembrata bellissima ed è stata lei a strapparmi i veri brividi. Peccato che le abbiano messo dei leggings inguardabili nel secondo atto, io veramente, non so chi ci ha pensato.
E ora? Diciamo che di qui all’anno nuovo difficilmente potrò di nuovo andare, prima di tutto perché tra meno di un mese c’è il diciottesimo di Vale e, tra patente e festa, mi partiranno 1500€ a essere ottimisti, poi la settimana prima di natale (dove ci sarebbe la Madama Butterfly, ancora a Firenze), ho promesso a Chiarina di andarla a recuperare in Germania perché ha paura di prendere l’aereo da sola :°), insomma, spero che i cartelloni tra gennaio e febbraio mi tirino fuori qualcosa perché allora potrei pensarci, e poi aspetto ovviamente il festival pucciniano estivo (finita l’estate ora io sono già proiettata sulla prossima :D).
Questo post, secondo me, Mondo molto puzzola, è proprio bellino. Perché dà l’idea di come ci si possa appassionare e avvicinare alla lirica anche da profani, neofiti ecc. E questo in senso allargato vale per tutta la cultura in genere. Ma Leo Nucci fammi googlare, sì, lo citai, quanti anni ha ora? Tipo 326? Acciderbolina, è del 1942. Cioè 79 compiuti, diciamo e mezzo che mi è di aprile, cavalca ancora le scene ed emoziona, però.
In generale odio le trasposizioni, la parola rivisitazione mi sa di carbonara senza il guanciale e non se ponno sentì certe cose, come i leggins appunto, che inorridisco senza averli visti. Quindi no, perché poi lirica = abiti modello Rondò veneziano che fanno parte del fascino, almeno per me.
Spero tu possa ripetere presto, in qualche modo. Io c’ho qui la Scala e mai andata. Ti dirò, che appena pre pandemia ho visto la mia prima operetta: “Al cavallino bianco” e me la sono goduta un sacco, magari trovi qualcosa in subordine, per compensare, a prezzi più abbordabili.
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Sì, un po’ anziano ma in gran spolvero e Sì, il mio apprezzamento per l’opera è proprio di pancia, ma anche la mia amica ha molto gradito, quindi penso non sia inusuale!
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Hai ragione, anche la scenografia conta molto e anche la scelta dei protagonisti ha un suo perché. A parte questo verdi è verdi ed è divino.. e la Traviata è una delle opere più belle. Ti sto invidiando 🙂 Hai avuto una splendida idea ad andarci. Buona domenica Cristina 🙂
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Spero di poter replicare presto, ma davvero sono esperienze che vale la pena fare!
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A volte certi adattamenti lasciano un po’ perplessi, ma La Traviata rimane comunque una grandissima opera
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Ti ho trovata leggendo un tuo intervento nel blog di Vitty, che seguo e piacevolmente commento, da oltre 10 anni.
Se permetti — oltre a chiedere scusa per il lungo scritto — ecco una trasposizione della Traviata in versi, con linguaggio più
vicino ai nostri tempi, elaborata in tandem con Sergio Sestolla (lavoriamo spesso insieme su uno stesso tema scambiandoci idee e correzioni) nel senso che alcune composizioni sono mie ad altre sono sue.
LA SIGNORA DELLE CAMELIE … OGGI
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di CASSANDRO E SERGIO SESTOLLA
Premessa:
LA SIGNORA DELLE CAMELIE . . . EROINA SFORTUNATA O FORTUNATA?
Se si pensa a quale è stato il suo destino, sia nel romanzo ed ancor più nella sua trasposizione musicale, la Signora delle camelie si presenta come un personaggio a dire poco “per nulla benvoluto dal Cielo”:
1) affetta da tubercolosi polmonare fin dalla più tenera età, come può dedursi dal fatto che aggravandosi, muore poco più che ventenne (rapportata ai tempi d’oggi ancora una ragazzina),
2) amata — per non dire, più realisticamente, “posseduta” — da uomini più vecchi di lei, con i quali è quanto meno pensabile che avesse dovuto intrattenere licenziosi rapporti d’amore (i vecchi non si accontentano di un amore “semplice”), simulando un trasporto di certo non invidiabile (provate a rifletterci attentamente un attimo come una persona giovanissima, “con quella testolina graziosa”, profumata, “esilissima”, sensibile e viva possa godere nell’amplesso di un…anziano, forse anche grasso, forse poco olezzante, e forse, dato il tipo di frequentazioni, pure incolto, anche se discendente di nobile stirpe),
3) innamorata di un giovane bello, idealista ed ancor pieno di quella vita che a lei sta per sfuggire, è costretta ad abbandonarlo (non interessa per colpa di chi o di cosa), e privarsi quindi dell’unica persona verso la quale, per la prima volta (che poi sarà l’unica), il suo essere ha pulsato di ardore vero, e con la quale era entrata in quella dolce, inspiegabile (“lingua mortal non dice quel ch’io sentia in seno”) e totale “datio animae corporisque”, sulla cui assolutezza v’è traccia pure nei versi di F. M. Piave (“amor ch’è palpito dell’universo intero, misterioso, altero, croce e delizia al cor”),
3) beffata dal fato in quanto ritrova il suo amato sogno, ma da questo riceve solo gretto disprezzo ed ingiuste offese…(e qui mi fermo in quanto sulla sua non lontana, presagita fine la pietas spinge a non intrattenersi).
Eppure Margherite Gautier o Violetta Valéry, chiamiamola come vogliamo, ma è sempre lei “La Signora delle camelie”, può dirsi una donna fortunata per un duplice ordine di motivi:
1) ha ottenuto un posto (attenti: ne stiamo già parlando come di una persona effettivamente esistita!) nell’immaginario collettivo, in quanto la conoscono, bene o male, “quasi” tutti, pur essendo esigua la percentuale di coloro che ha letto per intero l’opera letteraria o teatrale (sarebbe stato immodesto aspirare al privilegio riservato solo ad alcuni personaggi, tipo di Don Chisciotte, notoriamente noto anche a chi non sa leggere),
2) pur essendo nata dalla penna di un autore (Dumas figlio) che la crea per vendicarsi della donna che l’aveva abbandonato (Marie Duplesiss), e quindi propenso a tenerla nell’opera ben sotto le righe, nel corso della scrittura la “Signora” dalle “ciglia lunghissime che abbassandosi ombreggiavano il roseo colorito delle guance”, ruba la penna al suo autore e si scrive da sola, come càpita nella maggior parte delle vere creazioni artistiche, a volte pure a dispetto di chi sta ponendo nero su bianco, passando così da elemento pensato in negativo ad elemento risolto in positivo.
E che fosse in realtà la protagonista, un elemento positivo è d’altronde pure pensabile se è vero, come è vero, che su tutto conta l’animo (anche per le “cattive signorine”), e per fortuna oggi appare sempre più in regresso (pur se con intermittente rigurgito) quel certo tipo di pensiero che ritiene che chi esercita “il mestiere più antico del mondo” sia necessariamente insensibile all’aspirazione verso l’alto (latente vi potrebbe essere anche un qual senso di invidia a non poterne, o a non riuscire a poterne, godere i favori), nell’ignoranza che situazioni ambientali, sociali, politiche e quindi culturali possono avere avuto il loro consistente peso verso la nascita ed il persistere dell’apparente “male”, e nella illusione di non esserne corresponsabili per avere fatto poco o nulla perché non sorgessero nei soggetti di cui si parla umiliazioni, rabbia e, spesso (Nihil sub sole novi), desiderio di vendetta, da “Muoia Sansone” o “dopo di me il diluvio”.
Ma questo è un altro discorso…
Altre tre considerazioni potrebbero portare latu sensu a ritenere fortunata la Signora dagli “occhi neri sormontati da sopracciglia d’un arco così puro, da sembrare dipinte”:
il primo, è un fatto temporale: la Signora muore ancora giovane e quindi ancora bella (i registi, affascinati dalla protagonista come doveroso omaggio sono soliti così raffigurarla anche nel momento dell’addio supremo), per cui sempre la ricorderemo incantevole, come ricordiamo sempre assai piacevolmente il suo alter ego più vicino a noi, la spumeggiante Marilyn (non scordiamo che la bellezza è categoria fondamentale del nostro mondo, al punto che, come dice Belli, “E Dio stesso, ch’è un pozzo de saviezza, la madre che ppijò la vorze bella”); non vivendo a lungo la Signora ha inoltre evitato che lo stesso innamorato potesse stancarsi di lei, e quindi non più vederla nello stato di felice innamoramento a seguito dell’inesorabile passare del maligno tempo, e potesse concludere un giorno nell’incontrarla, come Proust fa dire a Swann nei confronti di Odette, “E dire che ho perduto tanti anni della mia vita, che ho voluto morire, che ho avuto il mio più grande amore, per una donna che non era il mio tipo”;
il secondo è un fatto legato all’evolversi della psicologia femminile, in quanto lei fra le prime donne riesce ad afferma, pagandolo a caro prezzo, il principio della libertà femminile: infatti, lottando (e soccombendo) contro la società borghese, assai spesso un mostro onnivoro, prova ad anticipare i tempi del riscatto femminile (anche per questo a livello di inconscio ci è simpatica), per cui la vediamo agire e decidere autonomamente della sua persona, di cosa fare e perché farlo, anche quando sbaglia per necessità o per troppo amore (passeranno più di cento anni perché il “sempre libera degg’io” diventi il sessantottino “la chitarra è mia!”)
il terzo è un fatto artistico e psicologico: complice la recitazione e tutta la macchina scenica, in genere chi a teatro viene a contatto con detto personaggio risulta da lei illuminato di una grazia improvvisa, quasi sconosciuta, perché costatiamo che Lei è una donna che ancora conosce l’intima essenza dei sentimenti, di cui noi siamo in parte orfani. Ciò avviene giacchè in Lei — che purtroppo sarà poi ingenerosamente indicata con l’appellativo “la traviata” — pulsa la forza dell’amore (che notoriamente “omnia vincit”) , perché Lei, non bacata dal suo modo di vivere, più subìto che voluto (non scordiamo cosa fosse la società del 1800), crede nel suo prossimo ed ha fiducia in Armand o Alfredo, e più che altro crede in se stessa ed in una vita futura dove (utopia?) potrà esprimersi senza convenzioni, dando in tal modo un senso al suo peregrinaggio su questa terra.
E così la Signora seduce ancora una volta e riesce (e gliene siamo grati) di fare tornare a casa lo spettatore forse anche un po’ più buono (ah, quanto sentiamo il bisogno inconfessato di tornare ad essere buoni!) e più tollerante verso gli altri, quelli che ci passano accanto e ci sfiorano, che al nostro fianco esistono ed operano, che con le loro storie ed i loro modi di pensare intersecano le nostre storie ed il nostro modo di pensare, verso i quali finalmente riteniamo di potere cominciare ad evitare di tranciare frettolosamente giudizi negativi o gratuitamente farli oggetto di qualificazioni offensive.
Ma anche questo è un altro discorso…
Dati gli oltre centocinquant’anni dalla creazione della storia, al fine di tentare di attualizzarla proviamo a ricreare la vicenda in versi, a ripensarla ai tempi d’oggi, con il linguaggio del 2000 e un po’ con il modo di pensare dei giovani (non scordiamo che i protagonisti sono due ventenni).
Eccone un sommario risultato, incentrato su alcuni momenti, forse i più popolarmente noti, grazie al melodramma verdiano, seguendo il quale si procederà alla caratterizzazione dei personaggi ed alla descrizione del sorgere del loro amore (atto I), dell’idillio, dell’intervento del padre e dell’ira di lui (atto II), nonché della malattia finale (atto III).
Al calar della tela, sulla fine della “Signora” potrebbero campeggiare quegli altri versi, non più dei tempi d’oggi, che delicatamente riassumono e concludono la triste vicenda di Margherita: “Passa la bella donna e par che dorma”.
E questo è il vero discorso.
PRIMO ATTO
AMORE…AMORE…AMORE ( Lei )
Amore…amore…amore, voglio amore,
per questo prendo tutto alla giornata,
perchè l’amor non è un calcolatore,
o cosa da venire programmata.
Esisto in quanto amo e quindi vivo
intensamente ciò in cui mi avventuro,
però nella memoria nulla scrivo
per non aver ricordi nel futuro.
Per me i ricordi son solo rimpianti,
che indietro non riportan ciò che fu:
così, baci leggeri o tracotanti
appena dati non ci sono più.
Sono scomparsi…Non ci sono santi!
…come di sassi in mare. Glu…glu…glù.
S I N F O N I A (Lui)
Nella gran sinfonia della vita
tu, cara, rappresenti un “allegretto”,
chè rendi ogni giornata assai gradita
con quel modo di fare così schietto.
Tu sei pertanto il primo movimento…
o il terzo…mentre io, meno esaltante,
forse sarò il secondo…quello lento,
quello pensoso…in genere l'”andante”.
Però insieme a te poi salto il fosso,
chè se mi girerai attorno un po’,
appena dal tuo brio sarò scosso,
il quarto movimento diverrò,
cioè un “andante”, sì, ma “molto mosso”,
che…se ti abbraccio…chiude in un “rondò”.
E la tonalità?…Con te, amore,
che dubbio c’è?…sarà modo maggiore!
LA PRIMA VOLTA. ( Lui )
“Ma cosa fai?” dicesti, e mi guardasti
…con le mie labbra ti sfioravo già…
girasti il volto…un lampo…e mi baciasti
per prima tu, con quella intensità
che non ho più trovato, sì, perchè
tu lo facesti…furiosamente,
godendotela tutta…tutta: beh,
quel bacio è fisso qui, nella mia mente!
Ricordo. Al “cosa fai?” la bocca apristi,
ed alla mia con foga l’incollasti,
e qui…e qui…Ecco, reagisti
come chi conosce bene i gesti,
e sa suonare tutti quanti i tasti,
perchè Amor non fugga mai…ma resti.
* * *
E poi concesso hai che entrassi in te…
e tutto diventò celestiale.
Null’altro mi ricordo…solo che
accolto fui come uno che vale.
E l’impeto rimase nel cervello
chè mi bloccai tosto, incantato,
svanito quasi…sì, siccome quello
che vien da fatto magico toccato.
Che incanto infatti la tua morbidezza,
la tua dedizione assoluta
in quell’amplesso fatto di dolcezza,
di gioia forte e intensa, e perciò muta,
scandita dal tuo muover con lentezza
la tua persona, che anche in ciò mi aiuta.
P R E N D I ( Lei )
Tu nella vita ti lamenterai
di ciò che lasci, no di ciò che prendi:
piglia pertanto, sia che sali o scendi,
…che vieni o resti…sai o non sai.
Afferra, acchiappa poi senza ritegno
se sol t’accosti al campo dell’amore:
il tempo passa, la bellezza muore,
la vita tutto al più è appena un segno.
Che cosa la credevi?…architettura?!…
sfida dell’uomo al cielo?!…dardo al sole?!…
E’ immagine – sol questo – che non dura,
o dura quanto un mazzo di viole,
quanto un’ecclisse che la luna oscura,
o lo sfrecciare in mar di lieve iole.
Non voglio dirlo, pure se lo penso,
che questo ha per me, purtroppo, un senso.
T A N G O ( Lui )
– “Io t’ho trovato che sapevi fare
l’amore molto bene, che baciavi
assai meglio di Gilda: eri un mare
ove affondavo quando t’accostavi…
Chissà chi debbo tanto ringraziare?
…Comunque era così e con me stavi.
Non ti stancavi mai della passione
che ti squassava, che davi e ridavi,
e in più coglievi al volo ogni occasione
perchè questa crescesse e in tempi brevi
ci ravvolgesse…Eri una canzone
dai toni acuti, gravi, forti e lievi.
Suonavi in tutte le tonalità,
eri modo maggiore e mai minore,
se pur da altri avevi avuto il ‘la’
ora donavi a me onde sonore
d’intensa e nuova musicalità,
d’impeto nuovo e di nuovo tenore.
Non eri fotocopia del passato.
Aveva un peso, sì, l’esperienza,
ma tu quel seme avevi rinnovato
e fatto fiore di diversa essenza.
Nel mio giardino ormai sta piantato,
che tal più non sarà se sarà senza.
Ah, quanto veri i versi, amica mia,
di quel famoso tango:…Gelosia!”
I E R I E D O M A N I ( Lei )
Ho sempre avuto un cuore molto attivo,
e ciò ti ha fatto sospirar: ‘Peccato!’,
con l’aggiunta di: ‘io non arrivo
mai primo in te…chè un altro già c’è stato!’
Che dirti non lo so…mi costa caro
ora quello che ho fatto in precedenza,
ma, sai?, vivevo al buio, senza un faro,
…e forse senza troppa intelligenza!
Soltanto ora io t’ho conosciuto!
Ti prego quindi non mi rinfacciare
ciò ch’è morto e sepolto, ma in aiuto
vieni piuttosto a me, e senza scrutare
trasmettimi di te quello che puoi.
Il mio futuro sta nelle tue mani…
io te lo dono…accoglilo, se vuoi…
scorda il mio ieri…pensa al mio domani!
MEZZO BIANCO E MEZZO NERO ( Lei )
Ma tu mi fai morir dalle risate!
…ma come ci può mai essere al mondo
chi come te ancor crede alle fate?
…Ma tu la società l’hai vista a fondo?…
Chi sono, di’, secondo te i briganti?
quelli che hanno l’archibugio in spalla?
…o non piuttosto i molti che hai davanti,
che stando sopra agli altri stanno a galla…
che avanzano ogni giorno più pretese,
che fan tornare a sera gli altri stanchi
alle lor case senza luci accese.
Guardati sempre dai colletti bianchi!
…E, di’, ‘traviate’ son solo le donne
che battono per strada su e giù?
…fingon d’amare tanti ma le gonne
solo per lavorar tirano su?
…ed è un lavoro, sappi, degradante,
falso perché non puoi tu confidare
che senza alcun piacere in ogni istante
muori affogando in acque poco chiare.
…E santo e pio infine è chi va in chiesa,
Iddio prega e poi il compagno fotte?
…oppure chi in silenzio sta a difesa
dei semplici, siccome Don Chisciotte?
Aprili gli occhi!…Non far come quello
che taglia con l’accetta il falso e il vero,
e che separa netto il brutto e il bello:
c’è pure il mezzo bianco e il mezzo nero!
L A ” S T E L L A ” ( Lui e Lei )
— “Ognuno a questo mondo ha una condanna,
che a volte vien chiamata pure ‘stella’:
da quando nasci fin che vai a nanna
sempre ti seguirà, sia brutta o bella.
Esempio, chi è ricco è condannato
a non capire manco da lontano
…lo sai…se amor di donna è spensierato
o mezzo perchè uno apra la mano;
mentre per il non ricco è l’inverso,
e il suo destino è di desiderare
sempre qualcosa e di sentirsi perso
nel caso che una donna voglia amare.
E la mia ‘stella’?…di fermarmi spesso
a studiare il mondo e la sua gente,
e di pensare in modo un po’ complesso
ma inutile perché controcorrente”.
— “Tutto sommato credo che ti vada
ancora bene…chè tu puoi, amore,
tenere ancora tutti gli altri a bada,
mentre io no, perchè ‘stella’ peggiore
…quella dell’allegria…mi sovrasta,
che mi fa arrabbiar come una negra
quando vorrei dire al mondo: ‘basta!’,
e invece resto sempre…quella allegra.
Ma che ne sai tu che vuole dire
brindare fra la gente col sorriso
pur se ti assale noia a non finire
o il cuore di tristezza tieni intriso?
D’altronde questa ‘stella’ me ne ha dato
…ah, se me ne ha dato di successo!
anche se debbo dir che l’ho pagato,
e a caro prezzo, quando senza nesso
per gli altri sorridevo…e sorrido,
prendendo in giro…più che questi…me.
Come vorrei, ah, io farmi un nido
e viverci…per come son…con te!
Ma prima o poi questa ‘stella’ ingrata,
sì, la seppellirà la mia risata”.
P E N S I E R I (Lui e Lei)
(Lui)
Sono i pensier d’amor come formiche
che appaiono di botto nelle case,
e stanno lì finchè da buone amiche
tranquille se ne tornano alla base.
Come non puoi contro loro agire
così tu quei pensier devi accettare,
vengono se vogliono venire
e vanno via quand’è l’ora di andare.
(Lei)
Lottar per non averli è impresa vana
se nel tuo ciel s’è accesa nuova sfera,
che fa vicino a te pur chi è lontana,
che viva rende anche una chimera
e certa la speranza più arcana.
Di aver tali pensieri sempre spera
(Lui e Lei)
Quante formiche in mente questa sera!
B) S E C O N D O A T T O
===================
CREDERMI DEVI ( Lei )
Credermi devi…non sapevo che
al mondo si potesse tanto amare!
Ma t’ho incontrato…e l’ho visto da me
come una donna si possa annullare
e assurgere da ciò a nuova vita…
E rinnovarsi…E diventar più bella…
Sì, sfolgorare come all’uscita
nel ciel di notte nero nuova stella…
Solo per l’altro splendere…per chi
è diventato il suo riferimento,
colui al quale voler dire “sì”
già prima di conoscerne l’intento,
e accendere il suo cuore lì per lì
con uno sguardo o con un gesto lento.
Credermi devi…ancora me lo chiedo
se sogno, e di sognare non mi avvedo.
B A C I (Lui )
Fissandoci negli occhi e ad occhi chiusi
passiamo ore ed ore a baciarci,
in un respiro solo stiam confusi
come se non dovessimo lasciarci.
Ma tutto finirà, chè non c’è cosa
che dura eterna per l’eternità:
questione sol di tempo, anche la rosa
odora odora ma poi sfiorirà.
Perciò, finchè possiamo, fortemente
diamoci baci, fino a farci male
…torniamo quindi a farlo lievemente
sciogliendoci siccome in acqua sale.
Le calde labbra mie tienile in pegno
mentre accarezzo quelle tue col dito
per ricordare il dolce lor disegno
appena tutto ciò sarà finito.
Ma prima di quel dì facciamo ancora
quel che abbiam fatto giorno dopo giorno,
baci su e giù, a dritta, a manca, a prora,
dal sorgere del sole…al suo ritorno.
G I O R N I S O V R A N I ( Lei )
Che giorni questi…ah!…giorni sovrani,
in cui ci assaporiamo da ogni parte,
…le vivo e le ricordo le tue mani,
veloci…il loro muoversi con arte
sopra di me…e sotto…e attorno attorno,
…e il tuo respiro caldo come mai
sul collo…e poi il mio “Ciao” e il tuo “Buongiorno”,
e quindi ancora io: “Come stai?”…
e tu senza risposta a respirare,
ad inghiottir l’odor della mia pelle
…ed io ferma lì, ferma a gustare
quell’attimo sognato con le stelle
sol poche ore prima…Era questo
l’inizio d’ogni giorno…era l’effetto
di ritrovarci e poi…poi c’era il resto!…
Giorni sovrani, sì…l’ho proprio detto!
IL SONNO DELL’AMORE
(Lui)
Dormire dopo aver fatto l’amore
è dolce forse più dell’amor stesso,
precipiti in un mondo senza odore
e qui diventi statua di gesso.
Giù…giù…sempre più giù…nell’aldilà
di botto ti ritrovi e non sai come
– nè t’interessa – a galla tornerà
il corpo tuo che non ha più nome.
Sei diventato nube…forse cielo…
o forse sei il centro della terra…
o schiuma che per mar va pelo pelo.
Nulla nella tua mente più s’inserra:
su questa par che sia disceso un velo,
che con il mondo non ti fa più in guerra.
° ° °
(Lei)
Fare l’amore, certo, mi piace,
però più che dell’atto in sè per sè
adoro il corpo tuo quando giace,
stanco alla fine, tutto su di me,
…nonchè sentirti il cuor come un tamburo
battere forte forte sopra il mio
per acquietarsi poi in sonno duro,
sonno che t’ho donato solo io.
…Ed è un peccato che non puoi capire
cosa vuol dire averti abbandonato,
col corpo che mi schiaccia ed avvertire
però solo il calore del tuo fiato,
il tuo scendere in me, e qui morire
…finchè, mio caro, non ti avrò svegliato.
L ‘ I D E A L E il Padre di Lui a Lei)
Esistono al mondo dei valori
che tu non puoi disperdere così:
la fedeltà, avere dei candori,
vivere chiara come il mezzodì.
Non puoi ritenerti in un deserto,
pensare solo a te, al tuo piacere:
chi sta al tuo fianco deve essere certo
che le tue tenerezze sono vere,
che c’è nella tua testa solo lui,
e, aggiungo, che c’è stato anche in passato,
quando ti era estraneo, per cui
è l’ideale suo che hai amato.
Ma se sei stata d’altri un po’ diversi
non credere che or possa durare:
làscialo allora…al vento sian dispersi
i sogni da cui il sol non può spuntare.
Quando si sa che amare non si può
…o non si deve…è meglio dire “no”.
SANTA O NON SANTA (Il Padre a Lui)
Mai fermarti al volto della donna…
chè lì non ci sta tutto…lei la faccia
la cambia, eccome!, sì che una Madonna
ti può sembrare quella che va a caccia.
Non la guardare mai, figlio mio,
nel viso per saper quello che è:
troveresti ‘il Dio che non è Dio’,
e tardi ne sapresti tu il perchè.
Guarda piuttosto come lei si siede,
come le gambe incrocia o le accavalla,
come in avanti e indietro smuove il piede,
come si stringe o spinge quando balla.
Ciò che la donna fa e perchè lo fa
manco Domineddio lo può capire
…tu pensa te!…che arrivi, guardi e olà…
com’è, e come sarà, vuoi scoprire.
Più facile sarebbe un terno al lotto!…
Mica ci stan gli schemi di una volta!…
se li è portati via il Sessantotto
– ma dove vivi mai? – quindi ascolta
…ascolta ciò che tuo padre ti dice:
non c’è più posto per gli stilnovisti,
scomparse son “la Pia”, ”Beatrice”
e la “Francesca”…è quella di Battisti.
Devi capirlo: chi veste di rosso,
e sta abbracciata a un altro è proprio lei,
pur se non vuoi crederlo…al fosso
Susanna or mostra ai vecchi pure i nei!
Gli Dei in cielo non ci stanno più…
sono caduti…sàppilo anche tu!
I L B A R O ( Lui )
No, all’ non ci credo,
all’ ,
all’ .
Ma che e !…
L’anello d’oro quando ha troppo rame
rosso diventa poi…la gatta i topi
li acchiappa pure quando non ha fame.
Incombe su di noi il nostro passato,
nessuno lo può mettere da parte,
al mondo ognuno resta quel che è stato:
esempio, il baro…se bara con arte
sempre più assi avrà e avrà fregato
chi gioca con un sol mazzo di carte.
E in questo esempio è abbastanza chiaro
a chi io pensi nel parlar del baro.
VATTENE VIA! (Lui)
Vàttene via…via! Vàttene via
con queste forme estreme di bellezza
…d’incanto…da portare alla pazzia…
allo gioir d’amor con sfrenatezza!
M’hai dato tutto: il cielo…il paradiso
…e forse anche di più, se “il più” c’è…
Ancora mi slanguisco al tuo sorriso,
al tuo: “Sono tua…Eccomi a te!”
E non capii che eri…terno al lotto
anche per altri al tempo stesso, jena!
Per cui or che ho pagato anch’io lo scotto
vàttene via!…Dovunque…Però a Siena
lontana stai da Via di Salicotto:
non puoi abitar lì, nè farvi scena.
Come “perchè?”…Perchè in quella contrada
si proibiva ciò a donne di strada.
————
(Nota)
Targa apposta in Siena all’inizio
ed alla fine di Via di Salicotto
IL SER.MO PRENCIPE
MATTIAS HA PROIBITO
CHE NELLA STRADA
MAESTRA DI SALICOTTO
POSSINO HABITARE
MERETRICI.AGOSTO MDCXXXI
IL XXX DI NOVEBRE
PENA CATURA E ARBITRIO
C) T E R Z O A T T O
================
S E N Z A S C O P O ( Lei )
Alzarsi la mattina senza scopo,
truccarsi un po’ soltanto per levare
quel brutto colorito grigio topo
di chi tutta la notte sta a pensare.
Guardare alla finestra il primo sole,
saper che sarà alto…che andrà via…
ed in quest’arco io le tue parole
udire non potrò, chè compagnia
di altri avrai avuto…Ma perchè,
perchè hai scelto di stare lontano
e credere che questo basti a me
perchè possa scordare la tua mano,
il tuo sorriso e quelle cose che
facevan me colomba e te gabbiano!
Mi opprime or che te ne sei andato
pur questo cielo immenso, smisurato.
HAI FATTO MALE A STARE MALE (Lui)
Hai fatto male a stare male. Ora
mi hai costretto a prender atto che
mi manchi se mi manchi, e mi addolora
considerare in generale “…e se
…per un caso qualsiasi…decide
di lasciarmi solo che farò?”
Certo, lo so, ormai non ci si uccide
se un amore finisce. Sì, però
si chiuderà di certo un orizzonte,
anche se altri il tempo ne aprirà
– me l’hai insegnato tu – e un altro ponte,
caduto questo, si ricostruirà.
Sarà!…però, mia cara, ad altra fonte
di dissertarmi proprio non mi va.
FOSCOLIANA (Lui)
(All’amica malata)
E poi non sei caduta da cavallo,
non hai deturpato il tuo bel volto,
lo so che è soltanto un intervallo,
che passerà il male che ti ha colto.
Pur se non sei la Pallavicini,
nè Foscolo io sono, in questo istante,
stai male, come quella, tra i cuscini,
e come quello io son trepidante.
Che non darei in questa occasione
per posseder la penna assai forbita
del rosso Ugo e fare una canzone
anch’io all’amica un po’ avvilita?!
…la qual come Luigia è sempre stata,
scoppiettante di vivacità,
ardita e pure un po’ spregiudicata,
lei stando in sella, tu in società.
Ma tutto finirà. Come cometa
ritornerai in cielo inghirlandata,
ed io, sulla scia di quel poeta,
riscriverò “All’amica risanata”.
Guarisci…e che il riso tuo mi sferzi
a tornar lieto. Uhè, “nun famo scherzi.
NON LO RACCONTARE (Lei)
Grazie. Speriamo!…Ascolta ora però
— non posso a questo punto farne a meno —
ciò che ho da dirti…tutto ciò che ho
nel cuore, che non sa più stare a freno.
Ma tu, ti prego, assegna alle parole
che sto per pronunciare il giusto senso:
non ne possiedo tante, ho queste sole,
ma molto, molto più, è quel che penso.
“Tienile strette strette le mie mani,
stai sempre accanto a me, sii tu il mio scopo,
sii tu l’after day, il mio domani,
sii tu la realtà del giorno dopo!”.
Lo so che incombe sempre più la sera,
ma il cuor mi monta come una marea
se sol ti ho vicino…e spera…spera…
Sì, la speranza è l’ultima dea.
Ed ora, scusa, debbo andare via…
Tu resta…Non mi puoi accompagnare…
Ripensa a ciò che ho detto, anima mia,
ripensaci…ma non lo raccontare.
Indice
LA SIGNORA DELLE CAMELIE……OGGI
A) PRIMO ATTO
Amore…Amore…Amore ( Lei, Lui )
Sinfonia ( Lui )
La prima volta ( Lui )
Prendi ( Lei )
Tango ( Lui )
Ieri e domani ( Lei )
Mezzo bianco e mezzo nero ( Lei )
La “stella” ( Lei, Lui )
Pensieri ( Lei, Lui )
B) SECONDO ATTO
Credermi devi ( Lei )
Baci ( Lui )
Giorni sovrani ( Lei )
Il sonno dell’amore ( Lei, Lui )
L’ideale ( il padre a Lei )
Santa o non santa ( il padre a Lui )
Il baro ( Lui )
Vattene via ( Lui )
C) TERZO ATTO
Senza scopo ( Lei )
Hai fatto male a stare male ( Lui )
Foscoliana ( Lui )
Non lo raccontare ( Lei)
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Scusami, ma non riesco a leggerlo con calma e attenzione ora, stasera ripasso e leggo! Grazie mille!
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Ancora scusa per il commento troppo lungo. Ma l’opera a poco a poco svela la sua drammaticità.
Ne approfitto per inviare la composizione “Il baro”, che è risultata inserita con qualche refuso iniziale.
Grazie comunque per l’attenzione
I L B A R O ( Lui )
No, all’ non ci credo,
all’ ,
all’ .
Ma che e !…
L’anello d’oro quando ha troppo rame
rosso diventa poi…la gatta i topi
li acchiappa pure quando non ha fame.
Incombe su di noi il nostro passato,
nessuno lo può mettere da parte,
al mondo ognuno resta quel che è stato:
esempio, il baro…se bara con arte
sempre più assi avrà e avrà fregato
chi gioca con un sol mazzo di carte.
E in questo esempio è abbastanza chiaro
a chi io pensi nel parlar del baro.
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Ancora una volta appare incompleta, Proviamo ancora. E ancora scusa
caduti…sàppilo anche tu!
I L B A R O ( Lui )
No, all’ “acqua passata” non ci credo,
all’ “ahimè, non lo farò mai più!”,
all’ “ero un’altra e solo adesso vedo
come ho giocato la mia gioventù”.
Ma che “programmi nuovi” e “nuovi scopi”!
L’anello d’oro quando ha troppo rame
rosso diventa poi…la gatta i topi
li acchiappa pure quando non ha fame.
Incombe su di noi il nostro passato,
nessuno lo può mettere da parte,
al mondo ognuno resta quel che è stato:
esempio, il baro…se bara con arte
sempre più assi avrà e avrà fregato
chi gioca con un sol mazzo di carte.
E in questo esempio è abbastanza chiaro
a chi io pensi nel parlar del baro.
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